QUARANTENA AL FIORDALISO – PRIMA SETTIMANA (14-20 marzo)

A dispetto delle mie prese di posizione estetiche, tutto quello che ho sempre desiderato nella vita è stato ed è tutt’ora passare inosservata. Questo non è affatto dovuto alla bassa autostima. Non è neanche un pensiero alienante, qualcosa che mi logora in maniera melodrammatica. Assolutamente no. Voglio solo essere lasciata perdere, libera di vivere come voglio, dove voglio, con chi voglio senza dover sottostare al giudizio spicciolo sociale del popolino.

Per questo motivo e questo senso di libertà conficcato nel cuore come un coltello da cucina (quelli a punta) ho vagato – ermeneutica – nella finitudine della mia anima per anni, prima di trovare il punto di equilibrio e rotazione necessari per apprezzare l’autenticità del mio essere.

L’essere al centro dell’attenzione mi ha spesso turbata.
Questo tratto genetico è stato contratto e viene attualmente protratto. La luce della ribalta non fa per me, che ho sempre preferito lavorare dietro le quinte. L’ossessione di rifuggire l’attenzione altrui è diventata pungente col passare degli anni, durante i quali mi sono mimetizzata col sottosuolo urbano per non soccombere, a contatto con la socialità forzata scolastica.

A quel punto ho cominciato a costruirmi gli affetti che mi porto oggi ancora dietro, persone e personaggi molto diversi tra loro, ma con una vibrazione di fondo unica. Inconfondibile. Un richiamo atavico e selvaggio che sentivamo farci tremare il cuore: il disagio.

Devo, in verità, questo chiarimento a un caro amico che ho rivisto lo scorso agosto, all’ombra di luoghi di culto antichi, tra le ossa dei martiri e le grida soffocate di condannate a morte per non aver soffocato la propria natura.

Queste riflessioni sono cominciate nelle retrovie della mente, già alcuni mesi fa, come conseguenza dell’osservazione quotidiana della realtà dei fatti che mi circonda, e in questo momento storico, che ricorderemo tutti perché a differenza degli eventi studiati sui libri brucia sulla nostra pelle, rimbombano come un’eco da quel buco profondo in mezzo al petto.
Mi sento confusa.
Non è un sentimento nuovo, però assume una tiratura diversa per via della stratificazione dell’esperienza.

Una settimana fa a quest’ora stavo preparando la colazione e dicendo a MM di prepararsi. Dodici ore dopo, niente sarebbe stato più lo stesso.

Ci sono varie categorie umane che decidono volontariamente di isolarsi più o meno intensamente dal mondo esterno. A dire la verità, il mio essere sociale si riduce a una manciata di ottimi amici e parenti, e qualche conoscenza tattica/logica per sopravvivere e non far pesare a mia figlia di avere una madre introversa. Che poi che cazzo vuol dire introversa, i miei amici sono introversi e sono gente allegra che il cielo o il settimo girone infernale l’aiuta. Noi introversi riusciremo a sopportare tutto questo senza impazzire davvero, perché in fin dei conti non abbiamo che affinato le nostre peculiari doti anti sociali. Facciamo le prove generali di tutto ciò da anni, in fondo.
La mia casa, seppur di quarantasette metri quadri più balcone, è il mio castello e sto scoprendo e amando ogni centimetro di essa. Abbiamo libri a sufficienza, strumenti musicali a sufficienza, giochini e straminchiate varie a sufficienza e amore a profusione. Potremmo costruire una fontana di cioccolata con l’amore che scorre cioccolatoso in questa casa, lo dice pure MM.
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PRIMO MOVIMENTO
È incredibile come l’essere umano possa contenere in sé la grandiosità dell’anima eterna e la piccolezza di un incantesimo di vigliacchieria ed egoismo, fatto di gel appiccicoso appallottolato, come in uno dei nostri lungometraggi dello Studio Ghibli preferito (La città incantata, nda). È ancora più incredibile come sia difficile a volte mettere in ordine i pensieri, mettere in fila le parole che poi di colpo cominciano ad accatastarsi da sole, e come facendo un passo indietro si abbia il quadro della situazione, lentamente, sempre più nitido.

Credo fermamente nel potere catartico della scrittura.
Lo faccio da una vita, lo facevo anche quando non ne ero consapevole. Un diario, in questi giorni, è cosa più che dovuta a me stessa, a mia figlia, che capirà in futuro magari cosa successe davvero in quell’anno di merda duemilaventi, quando siamo restate a lungo in casa e ci siamo inventate avventure nuove ogni giorno, mentre la notte non riuscivo (almeno io, lei dorme il sonno dei giusti che le spetta) a dormire. Di come questo tipo di situazione mi stia facendo rimettere in gioco tutto, e magari ripensare all’Italia con un occhio diverso. E a questi tedeschi e alla Germania con il solito disincanto e un pizzico d’amarezza in più.

NCC AND OTHER COMMODITIES

Nomi, cose, città e complementi d’arredo
nomi, cose, città e punizioni corporali
nomi, cose, città e elementi della tavola periodica
nomi, cose, città e malattie veneree
nomi, cose, città e Leone Tolstoj
nomi, cose, città e Silvio Muccinoedh
nomi, cose, città e medicinali generici
nomi, cose, città e classi sociali
nomi, cose, città e magia nera
nomi, cose, città e armi da fuoco
nomi, cose, città e categorie dell’intelletto
nomi, cose, città e stati di coscienza
nomi, cose, città e droghe pesanti
nomi, cose, città e acquisti per corrispondenza
nomi, cose, città e conversazioni interrotte
nomi, cose, città e gerarchi nazisti
nomi, cose, città e sorrisi di convenienza
nomi, cose, città e strade chiuse
nomi, cose, città e veli di obsolescenza
nomi, cose, città e malformazioni fetali
nomi, cose, città e film con Bruce Willis
nomi, cose, città e credenze indotte
nomi, cose, città e compositori morti
nomi, cose, città e armi bianche
nomi, cose, città e modi per suicidarsi
nomi, cose, città e stadi di decomposizione
nomi, cose città e senso del dovere;
nomi, cose, città, parole, opere e omissioni.

SENZA TITOLO NUMERO UNO

Premessa
La casa, dov’è?
Dove chi è restato veramente c’è.

****

Di viaggi e di corse
di andare e venire
per forza di cose
per sempre sparire
svanire
creare
per poi rivoltare
la sabbia la terra le acque e la guerra

edhdi pace trovare la vera radice
senza stare a pensare veramente che dice

la madre e poi il padre
la tara di libertà
la tara di volontà
la febbre di santità

vestiti bruciati dal sole annegati
le cornee adibite a santuari senza vita
di viaggi e di corse
di respirare e vomitare
pesante il pensiero che pensa da solo
se viene e poi sale nel naso senza più pensare all’ebbrezza del volo.

Dieci metri e dieci piedi
sottoterra se ci tieni
vieni prendermi domani
se riesci a sfuggire ai cani.

SHYLOH, LA DONNOLA E LA MARIONETTA STANCA

Tutti i colori di me
li ho mescolati in un cestello
li ho slavati in un vecchio secchio,
non riesco più a distinguere le sfumature.
I toni primari, le note portanti della mia composizione.
fptbtyLa donnola mi chiese, mentre guardavo nel secchio: “dimmi la tua sull’estasi e il fastidio”
Risposi io, fermamente: “sono in una frazione di secondo la stessa cosa
cioè dall’estasi al fastidio il passo è troppo breve
per quello è così labile, il piacere.
La gente è più quadrata di una porta di noce antico,
e non ammette questa cosa, che è verità.
La gente raramente ammette le cose chiaramente
e si nasconde dietro muri di compiacenza.”
Così senza alzare la testa da quel buco troppo poco profondo,
esposi la mia opinione nettamente.
La donnola si allontanò soddisfatta, avendo incontrato il suo gusto nel mio.
I toni di me sono mescolati, ormai solo un fango rancido.
Non riesco più a contare tutti i toni che esistevano in partenza.
Li ho venduti a Shyloh, vecchio mercante;
li ho svenduti per allontanarli
tutti i colori di me.

On the Waterfront

Colle mie vene ci faccio un cappio,
un cappio d’ignoranza.
Colle mie dita un crocifisso,
da rovesciare in casi disperati nella mente del caos.

fptbtyColle mie braccia ci faccio i chiodi,
per tenermi sempre e comunque appeso al muro dei miei perché.
Tra le vie contorte dell’immaginazione trovare
uno spazio meno infetto
una via meno insulsa
e un attrezzo sigillato senza pecche;

un gomitolo di sciocchezze
un filo di paglia
una pustola di ciclamino
un barattolo di umori frigidi
una bottiglia vuota
un bicchiere rotto
un paio di guanti inermi
un ombrello dalle stecche taglienti
uno sfarzo senza sosta
un grande calice di fiandra
un nero pollice di adunanza;

due fottuti cani che inseguono il padrone
due occhi e tre sistemi di proiezione;
tre cicisbei e quattro puttane,
cinque risate in riva al mare:
il fronte del porto da conquistare.

La maledizione Goldstein

Nel delirio mediatico dell’E-commerce sono incappata in una maledizione di altri tempi. Di altri tempi come il profumo di tè turco e polvere bruciata dal sole.
Ho ordinato per ben due volte Denk an Famaugusta di Alexander Goldstein, in tedesco ché in inglese e italiano non c’è e il russo ancora non lo mastico. Tutte e due le volte Amazon mi ha mandato i soldi indietro dicendo che non era possibile consegnare il libro. Non sono riusciti a consegnare un pacchetto a un indirizzo che riceve almeno sette pacchetti al mese.

La maledizione Goldstein, che già dal nome sembra qualcosa di tutto rispetto pur non avendo la verve di Gena Gas vestita da punk vampire, è quindi cosa tangibile.

L’aria è fredda, materica. Siamo ancora sotto lo zero. Le calze si arrotolano negli stivali imbottiti, in una percezione tattile fastidiosa. La strada è bagnata. Il ghiaccio semi sciolto non dà tregua alcuna e bisogna prestare attenzione a ogni passo in avanti o in diagonale che sia. Una calma serafica mi trapana il petto insieme al vapore freddo e statico che sto inalando. Entro nel primo negozio disponibile – una catena di billige Scheisse molto carine – e compro un paio di calzettoni con gocce di silicone antiscivolo. Il paio più economico che c’era sullo scaffale. Grigio e con un Koala disegnato sopra, dopotutto si presta bene al tema estetico del giorno.

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Mentre mi sfilo quei pedalini fucsia maledetti e indosso le calze appena comprate davanti a un portone a pochi metri dalla fermata del tram che devo prendere, mi viene in mente una storia che ho sentito dalla voce di mia madre più volte. Una situazione simile a quella ripetutasi oggi, tantissimi anni fa l’aveva vissuta lei.
A Mestre probabilmente ed è incredibile come mi sia venuta in mente estemporaneamente oggi. L’unico motivo plausibile è che quasi ogni ricordo della mia vita è legato in qualche modo a mia madre, semplicemente perché lei è l’unico punto fermo della mia vita.  Quella che sempre c’era, anche quando non ci sarebbe voluta essere, magari.

Tra questi pensieri, respiro lentamente per cercare di riscaldare l’aria nello stesso momento in cui la tiro dentro. Di sabato mattina, mentre a Buchforst c’è il mercato che profuma di Sud. Mentre aspetto la linea 3.